BTREES siederà al tavolo dei relatori, nella prestigiosa sede del Terzo Paradiso presso Cittadellarte, con il nostro Admin & Change Trainer Christian Zegna. L’evento si configura all’interno di “Arte al centro”, rassegna di mostre, incontri e seminari che raccontano pratiche artistiche di trasformazione dei contesti sociali in cui si sviluppano.
Il nostro intervento ruoterà intorno al tema della progettualità nell’ambito dell’innovazione sociale, specificando quali aspetti innovativi la digital disruption abbia introdotto nel mondo del sociale, o quanto margine di crescita vi sia ancora. Ne riportiamo di seguito un abstract.
Il mondo digitale offre oggi molteplici opportunità, soprattutto al mondo del Terzo Settore e del non profit che sino ad oggi è sempre stato molto radicato sulla dimensione relazionale diretta, offline, faticando a considerare le logiche dei New Media così come le nuove piattaforme e i nuovi servizi web a disposizione come strumenti utilizzabili e potenzialmente sostitutivi di una parte, magari piccola ma significativa, delle attività di cura, assistenza e relazione oltre che di sviluppo.
Spesso quando si parla di sociale si pensa che questo termine possa essere inteso semplicemente all’argomento non profit, in realtà fin da Aristotele si sa che l’uomo “è un animale sociale” e ciò determina che in qualsiasi tipo di impresa, dalle piccole alle grandi organizzazioni, vi è un impatto sociale non solo esterno all’azienda, ma soprattutto interno in termini di potenzialità produttive. Ciò è particolarmente rilevante nella nostra era in quanto il processo di automatizzazione che ci sta coinvolgendo (con la “singolarità”, ossia il momento in cui i robot saranno in grado di superare gli umani in termini di intelligenza, prevista da Ray Kurzweil – Google Director of Engineering per il 2045, con un miglioramento della qualità della vita sotto certi aspetti ma d’altra parte con una perdita crescente di posti di lavoro) determina una concentrazione maggiore delle caratteristiche umane sul lato delle relazioni, del dinamismo e della capacità di adattarsi al cambiamento.
Il World Economic Forum ha pubblicato un recente studio che mostra, infatti, come tra le 10 skill più importanti nel mondo del lavoro del 2020 ci siano la capacità di visione da parte delle organizzazioni e come conterà, sempre più, il grado di coinvolgimento che le organizzazioni (comprese le imprese) riusciranno a generare al proprio interno verso una certa direzione, verso una particolare visione. I millenial, in particolare, hanno tra le spinte motivazionali più forti la volontà di far parte di progetti nei quali non siano coinvolti per una mera retribuzione, ma perché possono esprimere al proprio interno una diretta partecipazione (ciò probabilmente deriva da un cambio di cultura: peer-to-peer, social, ecc. vedono infatti esistere non più consumer ma pro-sumer). Addirittura Mark Zuckerberg nel suo intervento ad Harvard di poche settimane fa ha esordito con la seguente frase: «Lo scopo è ciò che crea la vera felicità».
In questo senso l’innovazione sociale è fondamentale in tutto ciò che riguarda il coinvolgimento del proprio capitale umano. Sempre più si inizia a parlare di Intelligenza Emotiva (ormai riconosciuta anche dall’Harvard Business Review come più importante del QI), di ritorno di investimento anche dal punto di vista delle potenzialità di sviluppo umano interno alle organizzazioni. In un’era in cui infatti si può essere protagonisti dai social, alla fornitura di servizi (Airbnb, BlaBla Car, ecc.), le persone diventano sempre più importanti nello sviluppo aziendale e per questo – nelle aziende di successo – crescono le attività di team building e di crowdsourcing aziendale (es. Cittadellarte e SELLALAB che hanno laboratori interni di innovazione: dal coworking all’incubatore, si parla infatti così di Open Innovation). A conferma di ciò, non solo vengono effettuate pubblicazioni come il libro “Business Model You”, ma diverse Fortune 500 si affidano ormai abitualmente a dei modelli che valorizzano le caratteristiche personali per puntare a massimizzare il potenziale dei singoli individui.
Vi sono al contempo già esempi molto concreti di innovazione sociale attraverso strumenti digitali, come ad esempio alcune startup che forniscono ai cittadini servizi che possiamo genericamente definire “di cura”. La prima è “Le Cicogne“, una piattaforma che incrocia la domanda di baby sitting con un’offerta referenziata. Sport Grand Tour permette invece alle famiglie di far sperimentare ai propri figli sport diversi prima di sceglierne uno in definitiva, Epicura è la piattaforma nella quale è possibile trovare servizi fisioterapici professionali, Bed and Care offre ai tour operator la possibilità di organizzare viaggi e includere anche chi ha difficoltà motorie o di altro tipo. Vi è poi la neonata “HelpApp” che incrocia chi offre o chiede aiuto e solidarietà in molteplici settori, dallo psicologo all’avvocato, dal falegname all’elettricista.
Realtà estremamente interessanti, che possono potenzialmente cambiare la vita ad un bacino molto ampio di persone, migliorandola (per maggiori info, chiedete ai nostri amici e partner di Rinascimenti Sociali).
Anche in questo caso, come nei ben più noti esempi legati a piattaforme che offrono contenuti (vedi ad esempio Netflix), si passa dall’acquistare un prodotto e pagare per esso all’accedere ad una piattaforma o entrare a far parte di una community che offre molteplici prodotti o servizi, accreditandosi al suo utilizzo. Questo è il modello “nuovo”, quello a nostro avviso da seguire per pensare e sviluppare il proprio progetto.
La visibilità, la diffusione della propria attività e delle proprie idee costa meno, almeno come possibilità di accesso. Paragoniamo un programma TV, da sempre il media considerato più rilevante ma anche difficilmente accessibile alle piccole, micro realtà, e i Social Media. Prendiamo ad esempio un programma pre-serale, che ha un’audience del 4% circa. Contestualizzando questo share a livello di una piccola provincia, la visibilità che questo programma può ottenere è sicuramente inferiore rispetto a quella che potrebbe garantire un minimo investimento (poche decine di €) in Facebook Advertising.
Il dato declinato a livello Biellese, ad esempio, ci dice che il 4% di share corrisponde a circa 3.000 cittadini. Si tratta ovviamente di una visibilità diversa, probabilmente non sarebbe paragonabile per qualità ed efficacia, ma a livello macro abbiamo un primo passo verso un reale competitor del canale televisivo. Obiettivo peraltro, a nostro avviso evidente, di Facebook. Soprattutto, questo canale non ha costi di ingresso fissi ed è accessibile a tutti.
“In Italia il crowdfunding non funziona” è una frase che abbiamo sentito dire molte volte in questi ultimi mesi e che puntualmente smentiamo. O meglio, è vero che il crowdfunding non funziona se viene visto come mero strumento per la raccolta di denaro, ma se lo intendiamo in senso più ampio e come strumento di generazione di una community di consumatori o sostenitori di un progetto, i numeri parlano chiaro. Non esiste pratica più efficace. Abbiamo donato, io e il buon Lorenzo, un piccolo contributo ad una campagna per sostenere Crikè, startup che abbiamo poi scoperto essere stata fondata da persone a noi molto vicine. L’abbiamo sostenuta senza saperlo, non per amicizia ma per comunità di scopo.
Forse sono gli obiettivi di partenza a non essere spesso coerenti con ciò che lo strumento può portare ad ottenere. Diverso è invece il discorso del crowdsourcing. La “raccolta di idee”, la messa in rete di competenze e l’incontro di storie e punti di vista diversi non può che essere generativo e proficuo. Proprio il Terzo Settore potrebbe fare grande tesoro di questo, coinvolgendo e aprendosi sempre più ad altri mondi. Poche delle startup citate sopra sono state fondate da persone derivanti dal mondo del sociale e questa è una considerazione significativa ed importante.
Se vuoi approfondire, leggi l’articolo sul nostro e sugli altri interventi alla Lectio Pluralis sul Journal di Cittadellarte.
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